Diceva Tolstoj che tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Tolstoj, eh, mica la De Filippi, quindi direi che possiamo accettare l’assunto.
La mia famiglia, per esempio, è rumorosissima e abbastanza caotica: 4 figli di età variabile, ognuno con uno stereo a disposizione durante l’adolescenza. Poi dici che papà non sente più bene come una volta e ogni tanto bisogna ripetere le cose.
Telefilmicamente, siamo circondati da famiglie. La struttura standard, diciamo, è
PADRE SEVERO MA BONARIO
MADRE CHE HA SMESSO DI LAVORARE PER DEDICARSI AI FIGLI
FIGLIO MAGGIORE RIBELLE
FIGLIA BELLA
FIGLIA INTELLIGENTE che può anche essere
FIGLIO PICCOLO GENIO E SARCASTICO, modello “Erode dove sei”.
Se ci fate caso, assomiglia alla struttura standard dei fumetti giapponesi con i robot: fiqo, eroe, ragazza, ciccione, bambino. Alla faccia dell’archetipo.

La famosa Squadra G, cinque eroi MORTI.
Lo sapevate? Alla fine CREPANO. Poi dice che uno cresce crepuscolare.
Ma, come detto già, la tv si assesta (prima o poi) sui cambiamenti sociali. Quindi, in coda alle famiglie allargate, ai figli adottati, alle proto-famiglie arcobaleno, avremo anche una bella dose di famiglie disfunzionali, dove il babbo non ha nulla di bonario, la madre è sciroccata, e i figli… potete immaginarlo.
Partiamo dagli anni ’80. Con FULL HOUSE (in Italia Gli Amici Di Papà, non sia mai che pensiate male), vediamo le difficoltà e le soddisfazioni dell’omogenitorialità allargata: Danny si trova vedovo a crescere le figlie (DJ, la cicciona, Stephanie, la fiqa, e Michelle, la bambina piccola che blah blah blah e in realtà sono le gemelle Olsen) insieme al cognato rimorchione e all’amico idiota.
Il trionfo del buonismo più sfrenato, con risate registrate e scenografie standard d’interni. L’avete visto sicuramente, non fate i vaghi, quindi vi dispenso dal rivederlo.
Dopo l’abbuffata noiosissima di famiglie divorziate degli anni ’90 (non per essere monotematica, ma in Beverly Hills Dylan viveva in albergo perché i suoi erano ricchi e divorziati. Eddaje), interrotta solo dall’apparizione della famiglia gialla disfunzionale più longeva della tv (I SIMPSON), arriviamo freschi freschi al 2000 con una delle cose più belle mai viste: MALCOLM IN THE MIDDLE (in Italia solo Malcolm, se no ci affatichiamo).
Malcolm è la fiera della disfunzionalità. Un fratello maggiore (Francis) in collegio militare perché incontenibile; un secondogenito (Reese, il mio preferito) manesco e stupidissimo, che mischiando i colori blu e giallo si convincerà di averne inventato uno tutto nuovo, il BLALLO; il Malcolm del titolo, genio socialmente emarginato; il piccolo Dewey, genio anch’egli, drogato di zucchero e musicista provetto.
E poi, i genitori: la madre, Lois (Jane Kaczmarek), urlatrice ipercontrollante e rullo compressore dell’autostima dei figli; il padre, Hal (Bryan Cranston. Esatto. Il signor White di Breaking Bad), tenero, svampito, inetto.
Una casa che cade a pezzi, passione per i guai, il tutto condito dalla rottura della quarta parete: Malcolm arriva al cuore, e soprattutto fa ridere.
Riderone.
Riderissimo.
Arriviamo adesso a noi.
Perché ormai avrete capito che il mio stile è SERIEMMERDA, SERIEVECCHIANTROVABILE, SERIEBBBELLANUOVA.
E’ il momento Seriebbbellanuova.
MOONE BOY è una serie… irlandese. (Fregati, eh?)
E’ uscita su Sky in 6 gustosissimi episodi ideati, scritti e co-interpretati da Chris O’Dowd.
Il protagonista è Martin Moone, un ragazzino di 12 anni che ha come amico immaginario Sean (O’Dowd), e vive con i genitori e tre sorelle allucinanti. Martin è svagatissimo, e non sarà certo Sean a mettergli giudizio. In compenso, si ride tanto in un’ambientazione un pochino inusuale (l’Irlanda di metà/fine anni ’80) con personaggi fin troppo plausibili (le tre sorelle sono davvero infernali, alla faccia del bello stereotipo anni ’80 delle sorelle-amiche del cuore che si scambiano segreti e rossetti).
Infine, forse a confermare questo suo tarlo familiare, O’Dowd appare anche in FAMILY TREE, un mockumentary di produzione usa-brit, con una trama che più semplice non si può.
Nel corso di otto episodi, Tom cercherà di ricostruire il proprio albero genealogico fra false piste e strani fraintendimenti, accompagnato dal padre, un drogato di serie tv brit d’epoca sposato a una moldava senza peli sulla lingua, e dalla sorella, che in seguito a un trauma esprime i pensieri più sinceri tramite una scimmietta da ventriloquo.
I picchi di surrealtà assoluta sono naturalissimi, e sapete perché?
Perché i dialoghi sono improvvisati.
(Così se lo guardate poi vi sentite anche fiqi per aver assistito a una roba così ARTE)
Certo, tutti abbiamo amato le famiglie “normali” di serie bellissime come THE WONDER YEARS (in italiano Blue Jeans, ma non commentiamo lo scempio), trasmesso a cavallo fra gli ’80 e i ’90 ma ambientato in un dolcissimo e nostalgicissimo momento di transizione fra i ’60 e i ’70, esempio folgorante di un passato splendido e idealizzato con atmosfere alla Stand By Me (ma senza il morto), e davvero non c’è nulla di male, anzi.
Ma vi posso garantire che, al di là delle ovvie esagerazioni on-screen, queste serie funzionano proprio perché prendono in prestito dinamiche e vizi reali e ce li presentano nudi, nella loro ridicolezza.
Il principio aristotelico della catarsi ci fa la scianghetta ancora una volta, costringendoci a ridere di noi stessi e delle nostre famiglie spesso un po’ sghembe.
Malcolm e Moone Boy nello stesso post. Adesso posso addormentarmi sereno. :)
Grandi applausi al film e alla tua rsenecione: inestimabile ricchezza formale e8 perfetto. Un film ricco’ davvero. Bello e ricco’ (per niente borghese’ -e il rischio e8 altissimo a ogni riga di sceneggiatura). Io ho trovato (a voler essere un po’ pedanti) dei limiti solo nella Mastroianni. Risolti (volutamente?) in maniera molto pif9 che brillante da Poupaud.